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Perchè io DONO!

aprile 11, 2012 Lascia un commento

di Sarah Chiaramonte

La settimana che ha preceduto Pasqua, presso l’università Bicocca erano presenti degli stand che promuovevano la donazione del sangue, in particolare, a favore dell’Associazione “Amici dell’Ospedale Policlinico e della Mangiagalli Donatori di Sangue ONLUS”. Ma a Milano, come in tutta Italia, sono diverse le Associazioni che si occupano di raccogliere sangue da persone che spontaneamente si rivolgono a loro.

“La donazione di sangue è l’azione di un singolo individuo, agita volontariamente in maniera spontanea o concordata, finalizzata al privarsi di una determinata quantità del proprio sangue o di suoi componenti, affinché venga utilizzata per scopi medici.”

In base alle stime, in Italia sono ancora pochi i donatori che regolarmente si prestano alla donazione del proprio sangue. Nel nostro paese servirebbero 2.400.000 unità di sangue. Ci sono alcune regioni che hanno raggiunto l’autosufficienza, mentre altre continuano ad aver bisogno di trasferimenti esterni. Nonostante le tante persone che ogni giorno donano, il fabbisogno è in continuo aumento anche a causa dell’innalzamento dell’età media e dei progressi della medicina che permettono di operare persone anche molto anziane.

C’è quindi un forte bisogno di raccolta, soprattutto fra i più giovani.

Donare il sangue è molto semplice, ed oltre a permettere di mantenere sempre sotto controllo la propria salute (ad ogni donazione vengono fatti tutti gli esami che vengono poi inviati gratuitamente a casa), ti dà la consapevolezza di aver fatto un piccolo gesto che potrebbe salvare la vita a qualcuno.

Ecco le condizioni richieste per poter diventare un donatore di sangue:

– età: compresa tra i 18 e i 65 anni; è possibile donare prima della maggiore età solo in situazioni particolari, dopo parere medico e autorizzazione da parte di chi esercita la patria potestà sul minore.

I donatori abituali in buona salute possono continuare a donare anche oltre i 65 anni.
L’età massima per la prima donazione è di 60 anni, posticipabile dal medico.
All’estero alcuni paesi permettono la prima donazione dai 17 anni.

– peso: uguale o superiore ai 50 chili;

– pulsazioni: comprese tra 50-100 battiti/minuto;

– pressione arteriosa: tra 110 e 180 mmHg (sistolica o massima), tra 60 e 100 mmHg (diastolica o minima).

Queste ultime vengono misurate prima del prelievo.

Inoltre è necessario:

– avere un buono stato di salute:

non essere affetto da gravi malattie/patologie croniche;

non aver avuto malattie o assunto antibiotici nei 15 giorni precedenti il prelievo;

non aver subito estrazioni dentarie nei 7 giorni precedenti la donazione;

non aver subito interventi chirurgici o endoscopie nei 4 mesi precedenti il prelievo.

– non seguire comportamenti a rischio:

non essere stato esposto al rischio di malattie trasmissibili (non aver effettuato tatuaggi/piercing    negli ultimi 4 mesi);

non fare uso di droghe pesanti né uso continuato di droghe leggere;

non avere soggiornato per oltre sei mesi nel Regno Unito nel periodo dal 1980 al 1996;

che sia passato un anno dalla gravidanza (il parto)

Finché ci sarà vita, ci sarà bisogno di persone che, nel loro piccolo, facciano qualcosa per aiutare il prossimo. Ci sarà, quindi, sempre bisogno di donatori.

Queste sono due delle Associazioni che si occupano della raccolta:

http://www.donatorisangue.org/

http://www.avismi.it/

Se ci pensiamo bene, sono tante le ore che spesso occupiamo con attività futili solo per “far passare il tempo”. Ecco, per donare il sangue basta anche solo un’ora di questo tempo.

Io dono, e tu?

Ore 10.30: lezione di charm

marzo 21, 2012 Lascia un commento

di Sarah Chiaramonte

Una lezione per ogni occasione.

E’ quello che hanno cercato di inserire nei loro programmi al Massachusetts Institute of Technology.

La prestigiosa università americana conosciuta come vera e propria tana di nerd, ha cercato di andare incontro ai suoi studenti che rimanendo chiusi ore e ore nei laboratori universitari, correvano  il rischio di allontanarsi troppo dalla società e passare per disadatti una volta entrati nel mondo del lavoro. Un po’ come i protagonisti della serie tv “The big bang theory”che danno un chiaro esempio della definizione di nerd.

In che modo?

Istituendo un vero e proprio corso di charm con tanto di attestato finale. La parola charm (dal francese charme) significa letteralmente “fascino”. Ed è proprio di questo che si tratta, un corso di fascino che aiuta molti di questi studenti a migliorare le loro competenze sociali. Infatti, le lezioni variano dall’insegnare a fare un nodo ad una cravatta, utile per quando ci si deve presentare ad un colloquio di lavoro; alla dimostrazione di come ci si deve sedere a tavola (ebbene si, ci sono dei movimenti specifici da compiere!); a come usare coltello e forchetta e infine, come stringere una mano. Insomma, un vero e proprio corso sulle buone maniere per risultare più affascinanti a chi ci sta davanti e per muoversi nella società senza passare per disadattati.

Gli americani, in quanto a idee sono insuperabili e forse dovremmo prendere spunto da loro,  introducendo questi corsi di charm e rendendoli obbligatori, oltre che nelle università italiane, anche nel mondo del lavoro. Per tutti coloro che, molto spesso, si dimenticano le buone maniere e come ci si comporta in determinate situazioni.

Di certo questi corsi non possono fare miracoli e sicuramente gli Sheldon Cooper di tutto il mondo avranno poche speranze di ottenere il Bachelor of charm, ma l’importante è partecipare!

Questo è il video di presentazione del corso al MIT : mits-charm-school-on-cbs-sunday-morning-10289

Posti in piedi in università

di Sarah Chiaramonte

Con l’inizio delle lezioni del secondo semestre si è riaperta ufficialmente la caccia al posto.

Il problema è il seguente: aule sempre troppo piccole per studenti sempre troppo numerosi.

Ed è così, che per essere certi di assicurarsi un posto, è necessario arrivare con largo anticipo in università.

Per gli sfortunati ritardatari un posto è comunque assicurato, ed è anche possibile sceglierlo tra due allettanti alternative:

–    passare le due ore di lezione in piedi;

–   sedersi comodamente per terra, rendendo così più agevole agli addetti la pulizia dei pavimenti.

La situazione sembra essere la stessa degli imbarchi in aeroporto, con studenti ammassati in ogni angolo. Questa condizione crea molto disagio e infatti non tutti riescono a resistere per tutta la durata della lezione e abbandonano prima, sperando poi di recuperare gli appunti da qualche studente seduto in prima classe.

Esistono però anche situazioni inverse, ovvero: aule molto grandi occupate da pochissimi studenti. Viene, quindi, spontaneo domandarsi con quale criterio vengano assegnate le aule alle diverse lezioni ogni semestre.

Per il momento, essendo ancora inverno, essere in un’aula composta da 90 posti con 130 studenti che la occupano può ancora essere minimamente accettabile.

Ma che ne sarà di noi quando il caldo comincerà ad impadronirsi della città?

Un’alternativa potrebbe essere quella di proporre lo spostamento delle lezioni all’aria aperta, in uno dei numerosi spazi che l’università offre, così come si faceva durante il periodo delle elementari.

Dato che questa possibile soluzione difficilmente potrà essere approvata, dobbiamo solo armarci di pazienza e consolarci col fatto che queste situazioni potrebbero assicurarci, quanto meno, un posto (in piedi) in paradiso.

L’importante è comunicare

febbraio 28, 2012 Lascia un commento

di Sarah Chiaramonte

Nel corso della carriera universitaria, e non solo, a molti studenti è capitato di imbattersi nello studio di esperimenti, spesso curiosi e particolari.

Forse si potrebbe pensare che quello condotto dalla University Of Chicago Booth School Of Business sia leggermente scontato, ma non per questo meno interessante.

Tale Wilhelm Hofmann, colui che ha guidato questa ricerca, ha coinvolto 205 persone, tra i 18 e gli 85 anni, a cui è stato chiesto di indossare un dispositivo elettronico che registrasse i loro desideri quotidiani. Queste registrazioni servivano ad indicare la resistenza alle pulsioni di ogni individuo e in particolare ad individuare i tipi di desideri ai quali è più difficile resistere.

Ai soggetti è stato chiesto di segnalare, all’insorgere di qualsiasi tipo di desiderio durante l’arco della giornata, l’intensità della pulsione.

Il risultato di questa ricerca è abbastanza curioso. Infatti, se al secondo posto troviamo il lavoro e le interazioni sociali che ne derivano, al primo si posizionano i social network e tutti quei meccanismi che permettono di rimanere connesso con il mondo con facilità. In particolare, ciò a cui è più difficile rinunciare, è il controllo di social network come Facebook e Twitter.

 La cosa curiosa è stata il vedere come queste due piattaforme creino più dipendenza, rispetto ad alcol e fumo che sono invece le due cose a cui, generalmente, le persone fanno più fatica a rinunciare. Inoltre è stato costatato, che questa dipendenza diventi più irresistibile di notte; non è escluso infatti, che molti di quelli che posseggono un telefono con connessione internet si augurino la buonanotte dando una, cosiddetta, sbirciatina al proprio profilo, o più in generale a quello che è accaduto ai propri amici nell’arco della giornata. Questo avverrebbe per due motivi principali: per il bassissimo costo di queste attività, (essendo strumenti a portata di click), unito al fatto che esse attivano nel cervello il circuito del piacere, il quale innescherebbe, a sua volta, una meccanica piacevole che porterebbe con facilità al continuo ripetersi di tali azioni.

La spiegazione dei risultati data da Holfmann è stata questa: «La vita moderna è un tumulto di desideri, ed è scandita da conflitti frequenti e resistenza, ma quest’ultima risulta sempre meno controllabile».

 Di questa social-dipendenza o più in generale di internet-dipendenza se ne è già sentito parlare, tanto da portare, nel 2009, alla creazione all’ospedale policlinico “Gemelli”, del primo ambulatorio ospedaliero italiano specializzato nella cura di queste dipendenze.

Ciò che viene da chiedersi è: se nel ventunesimo secolo siamo già così social-dipendenti, nei prossimi decenni, con la velocità con cui si sviluppano queste nuove tecnologie, e questi modi per rimanere sempre in contatto con tutti, semplicemente guardando lo schermo di un pc o di un telefono, che fine faremo? Ai posteri l’ardua sentenza!